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Marianna Lorniali

HR Manager

Guidare le nuove generazioni ad orientarsi nel mondo del lavoro, trovare i talenti migliori per i progetti, curare il benessere aziendale delle cherries: queste sono solo alcune delle sfide giornaliere di Marianna.

Lavorare nell’HR comporta tante responsabilità perché si ha a che fare tutti i giorni con la parte più importante dell’azienda, le risorse interne.

E Marianna questo lo sa bene. Come sa bene che uno degli aspetti più delicati del suo lavoro è essere l’entry point per i giovani alla loro prima esperienza lavorativa. Abbiamo affrontato con lei non solo il tema delle nuove generazioni ma anche il tema del gender gap, della differenza di opportunità formative per uomini e donne aiutandoci anche commentando alcuni dei dati pubblicati da Almalaurea nel rapporto 2022 “Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali”.

Se esistono corsi di laurea prettamente maschili o femminili? Certo che no.

L’educazione ricevuta in famiglia, a scuola o nella società, ancora oggi (anche se meno di una volta) porta i ragazzi a credere che ci siano percorsi di studio “maschili” e “femminili”. Per fortuna la verità è che non è così.

Credo sia in atto però un cambiamento. I genitori di oggi, tra cui mi inserisco anche io, hanno meno preconcetti e sono maggiormente propensi a mettere a disposizione dei propri figli strumenti di vario genere per permettere loro di sperimentarsi e scoprire cosa li interessa e li appassiona.

Non credo che ci siano percorsi maggiormente adatti agli uomini o alle donne, credo che ogni studente al momento della scelta del suo percorso di studi dovrebbe fare un bilancio delle sue competenze e attitudini e scegliere la strada che ritiene gli possa dare maggiori soddisfazioni e soprattutto che lo possa appassionare.

La passione fa da traino e da supporto per superare qualsiasi difficoltà e fa da effetto moltiplicatore del successo.

Cosa pensi del divario di genere che vede crescere il tasso di occupazione a vantaggio degli uomini, nonostante i dati dimostrino migliori performance negli studi delle laureate?

Credo che per comprendere le motivazioni che conducono ad un tasso di occupazione femminile inferiore a quello maschile a cinque anni dalla laurea, oltre alla conclusione del percorso di studi nei tempi e il voto di laurea siano da analizzare anche altre variabili.

Le facoltà umanistiche, a frequentazione maggiormente femminile, hanno una percentuale di occupazione a cinque anni dalla laurea pari a 85% contro altre tipologie di facoltà quali ingegneria, a frequentazione maggiormente maschile, la cui percentuale di occupazione a cinque anni dal conseguimento della laurea superiore al 93%. La minor occupazione femminile a cinque anni dalla laurea potrebbe quindi essere influenzata da altre variabili diverse dal genere.

Per quanto riguarda il voto di laurea, sicuramente un voto pieno conseguito nei tempi è considerevole ed alcune aziende assumono solamente laureati con voto di laurea superiore ad un certo livello, ma nei colloqui non è l’unico elemento che, personalmente, prendo in considerazione.

Nei cv dei neolaureati, oltre ai tempi di conseguimento della laurea e al voto di laurea, considero la presenza di esperienze lavorative e formative svolte durante il periodo degli studi. A volte le tempistiche e l’esito finale del corso di laurea sono condizionati dallo svolgimento di lavori oppure di attività di volontariato effettuati durante il periodo di studi. 

Svolgere ulteriori attività, anche non inerenti al percorso di laurea, come potrebbe essere lavorare in un bar o ristorante, offre la possibilità di migliorare le proprie soft skills quali ad esempio la gestione delle relazioni con la clientela, la gestione dello stress, la gestione delle priorità.

A cinque anni dal titolo di laurea, in termini retributivi si conferma il vantaggio a favore degli uomini. In particolare, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. 

Secondo la tua opinione, a cos’è dovuto il gender gap presente tra uomini e donne
che conseguono la stessa specializzazione?

I dati di Almalaurea riportano che le donne sono occupate più spesso degli uomini, nel settore pubblico (35,8% e 28,4% tra i laureati di primo livello; 24,4% e 16,5% tra quelli di secondo livello). Il settore pubblico e privato solitamente non sono allineati nell’importo dei compensi. Credo quindi, anche in questo caso, che i dati debbano essere analizzati per tipologia di settore. Mi spiego meglio, se le donne fossero maggiormente concentrate in settori che tipicamente hanno un salario contrattuale minore, mentre gli uomini in un settore con un salario contrattuale più alto, si spiegherebbe perché in media ci sia un vantaggio retributivo a favore degli uomini.

È necessario analizzare il medesimo settore, con gli stessi livelli retributivi di partenza. Nel settore bancario, ad esempio, nel 2019 (dati ABI) il 2,3% era dirigente tra gli uomini contro lo 0,8% delle colleghe donne; il 50,7% erano quadri direttivi, contro il 31,5% delle donne.

Purtroppo credo che questi dati evidenzino che c’è stata e ancora c’è una discriminazione nel trattamento retributivo tra uomini e donne, è possibile che una società precedentemente guidata da uomini abbia favorito a livello retributivo altri uomini.

Nel nostro essere innovativi e inclusivi cerchiamo di essere dei precursori.

Il settore bancario è stato per lungo tempo un settore quasi ad esclusiva gestione maschile, gradualmente anche le donne sono entrate a farne parte iniziando a ricoprire anche cariche apicali. Si tratta di un cambiamento che sta avvenendo nella società e nelle caratteristiche della tipologia di leadership.

In Cherry Bank: il 49% dei dipendenti è donna e tra i responsabili il 39% è di genere femminile. Nel nostro essere innovativi e inclusivi, cerchiamo di essere precursori della piccola rivoluzione che sta avvenendo nel settore. Poniamo attenzione ai divari e cerchiamo di premiare le competenze indipendentemente dal genere.

Secondo i dati riportati da Morning Future, nel 2020, anno dello scoppio della pandemia, il tasso di occupazione femminile in Italia è sceso al 49% e le donne con figli sono state le più penalizzate, registrando un tasso di occupazione minore del 25% rispetto alle colleghe senza figli.

Secondo te, sono necessari strumenti innovativi di welfare aziendale a disposizione delle dipendenti, per consentire un maggiore equilibrio tra le esigenze familiari e quelle lavorative?

La pandemia ha reso la vita delle mamme lavoratrici ancora più complicata. Essendo mamma di due bambine ho potuto vivere l’esperienza in prima persona.

A partire dal primo lock down sono state chiuse le scuole, i genitori hanno dovuto scegliere se mettere a rischio i nonni (per chi li aveva a disposizione), se usufruire delle prestazioni di una baby-sitter a fronte di modestissimi sostegni erogati da parte dello stato, se usufruire di permessi covid retribuiti al 50% o infine, nel caso fossero impiegati, se far uso dello smart working.

Ognuna delle scelte di cui sopra ha creato delle difficoltà gestionali per i genitori, soprattutto per i lavori non impiegatizi: i genitori, che non avevano la possibilità di beneficiare dello smart working, hanno scelto di gestire in prima persona i figli.

Purtroppo, è ancora vivo il retaggio per cui la gestione dei figli è maggiormente a carico della madre e questo ha comportato che siano state in misura più elevata le donne a rinunciare al proprio posto di lavoro.

Per quanto riguarda gli impiegati, strumenti innovativi quali smart working, flessibilità oraria, asili nido aziendali, possono sicuramente offrire un importante supporto alle famiglie. Lo smart working permette di organizzare la giornata lavorativa tenendo conto delle esigenze famigliari, poter recuperare i figli a scuola o alle attività extra-scolastiche senza necessitare di ulteriori aiuti.

I figli hanno più spesso la possibilità di passare del tempo con i genitori, vederli lavorare e imparare a capire quali sono i momenti per giocare, studiare e attendere i genitori.

Credo che però questi strumenti debbano essere bilanciati all’interno della famiglia in modo da poter garantire sia al padre che alla madre di poter essere presente nella sede lavorativa quando necessario e di poter organizzare l’agenda affinché la gestione dei figli non ricada su una sola delle due figure.

Il percorso di crescita si fa insieme.

In Cherry Bank favoriamo l’utilizzo dello smart working per tutti i dipendenti ed è l’orario di ingresso e uscita dei dipendenti prevede una flessibilità di un’ora per poter andare incontro alle diverse esigenze dei dipendenti in ingresso e uscita.

A marzo, per sostenere ulteriormente le necessità delle cherries, abbiamo implementato inoltre un piano di flexible benefits mettendo a disposizione un budget da utilizzare in beni e servizi. I genitori per esempio hanno così la possibilità di utilizzarlo per pagare la retta relativa ad asili nido, ad istruzione universitaria e non, per l’acquisto di strumenti/sussidi didattici a favore di familiari con DSA.

Il paniere di beni e servizi è davvero esteso e può essere utilizzato per shopping, viaggi, cultura, fitness, corsi, prevenzione, assistenza e molto altro incontrando gli interessi e le esigenze di tutte le età.

Pensi che il gender gap condizioni ancora il recruiting di oggi?

In linea generale, considerando tutte le tipologie di settori e aziende, credo che ancora il gender gap condizioni il recruiting di oggi, anche se in misura minore rispetto al passato.

Oggi le aziende sono molto più attente all’inclusione, ma fa ancora scalpore ed escono titoli sui giornali quando viene confermato un contratto ad una donna incinta. Non dovrebbe essere così.

In un mondo dove esiste la parità di genere, la conferma contrattuale dovrebbe dipendere dalle competenze e dalla validità della risorsa, non dal fatto che sia in attesa di un figlio o meno. Personalmente in fase di colloquio mi concentro sul riconoscere le competenze acquisite dal candidato e la sua corrispondenza al profilo ricercato e non sul fatto che stia pianificando o meno di allargare la famiglia. Ci impegniamo ogni giorno per dar valore alla meritocrazia indipendentemente dal genere della persona.

Il mondo HR come può contribuire a superare il tema delle diversità?

Credo che il mondo HR abbia un ruolo fondamentale in relazione all’inclusione e alla diversità a partire dalla selezione.

Cerchiamo di valorizzare ed inserire in azienda le risorse più valide e meritevoli indipendentemente dal genere, dalla diversità etnica e religiosa, dall’orientamento sessuale o alla diversità funzionale.

Abbiamo creato un osservatorio, per monitorare la crescita professionale delle risorse interne, appurare che non ci siano differenze correlate alle diversità, e qualora ci fossero, verificarne le cause per adottare eventuali interventi correttivi.

Promuoviamo la cultura dell’inclusione, per esempio diffondendo il messaggio che la gravidanza non è un problema per l’azienda, ma che si tratta di un evento fisiologico e assolutamente meraviglioso.

Siamo costantemente attenti alle esigenze dei colleghi e abbiamo attivato smart working e flessibilità oraria, ascoltiamo le proposte che possono arrivare dai colleghi e cerchiamo di mantenerci sempre aggiornati su best practice e nuove modalità inclusive.

Credo che HR abbia la missione di far star bene tutte le risorse presenti in azienda, monitorando il benessere generale dei colleghi, affinchè  l’inclusione sia un fatto concreto e non solo un mero slogan.

L’obiettivo è quello di valorizzare tutte le risorse che potranno svolgere il proprio lavoro garantendo maggiore qualità e con serenità.

Abbiamo in progetto di adottare un processo di talent management che assicuri diversità e inclusione nei team di lavoro e in tutti i processi realizzati dall’organizzazione, oltre a formare tutte le risorse in questo senso.

Il nostro obiettivo è quello di offrire un luogo piacevole dove lavorare, per crescere professionalmente e come persona, senza restrizioni o pregiudizio durante qualsiasi processo aziendale.

 

Qualche informazione in più su Marianna …

Laureata in Scienze Statistiche ed ha un master in gestione delle Risorse Umane.

Da sempre appassionata di formazione e di sviluppo delle persone e del loro potenziale, ha coltivato questi interessi sia nel lavoro e che nel volontariato.

Entra a far parte del Team Organizzazione nel 2011 nel quale si è occupata di tematiche legate ad Antiriciclaggio, Trasparenza, Crediti, Anagrafe, Sicurezza logica e Supporto alla rete. Nel 2014 inizia ad occuparsi delle attività relative al personale. Ora, in qualità di HR Manager, insieme al suo team, gestisce tutte le attività relative alla gestione e all’amministrazione delle Risorse Umane.

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