Elisa Conflitti, Ufficio Contabilità e Bilancio Cherry Bank, e Marino Finozzi, Presidente Città della Speranza ci raccontano le sfaccettature del volontariato
Il termine “volontariato” nella lingua italiana ha diverse accezioni, tutte accomunate da una costante: la libera scelta di dedicarsi a una determinata attività. L’ambito a cui viene più comunemente ricondotto il termine, oggi, è quello sociale, dove “volontariato” significa mettere a disposizione tempo, abilità e impegno a titolo totalmente gratuito per fini altruistici. Un concetto che può manifestarsi attraverso forme e opere differenti, ma che rappresenta sempre un’occasione di arricchimento personale ed empowerment per chi decide di scendere in campo attivamente: è questo il punto di contatto tra l’esperienza di volontariato in India raccontata da Elisa Conflitti, Ufficio Contabilità e Bilancio Cherry Bank, e quella nella ricerca sulle malattie pediatriche esposta dal Presidente della Fondazione Città della Speranza, Marino Finozzi.
Attraverso le due testimonianze emergono due prospettive, due mondi, due modi di vivere il volontariato in apparenza diametralmente opposti: il punto di vista di chi affronta un viaggio in un Paese lontano, cimentandosi nell’assistenza diretta a bambini e ragazze in situazioni di fragilità, e quello di chi si occupa invece degli aspetti organizzativi e gestionali delle attività di un ente filantropico di rilievo nazionale ed europeo.
Un viaggio iniziato per motivi di studio si evolve in un’occasione per esplorare luoghi reconditi, culminando in un’esperienza di cura e assistenza ai più piccoli presso la Casa Madre delle Missionarie della Carità di Calcutta: è questo il racconto di Elisa, che ha trascorso un mese in una zona dell’India afflitta dalla povertà, assistendo ragazze fragili e bambini.
Sicuramente il desiderio di rendermi utile per le persone meno fortunate di me. Durante i mesi alla scoperta dell’India mi sono sentita estremamente grata per avere l’opportunità di vivere un’esperienza così unica, avventurosa, ricca di bellezza: una sensazione che mi ha spinto a mettermi in gioco per sostenere una causa nobile. Come diceva Madre Teresa, «Non possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore».
Oltre all’impegno fisico necessario per aiutare ragazze anche più pesanti di me nelle attività motorie, la vera sfida è stata capire come offrire supporto a persone che spesso faticano a esprimere i loro bisogni. Ho imparato ad approcciarmi a loro e a comprenderle un passo, un sorriso, un abbraccio alla volta.
Sicuramente il primo approccio con le case di cura, ma naturalmente anche l’ultimo giorno, quello in cui ho dovuto salutare i miei bambini e le mie ragazze. È qualcosa che non si dimentica facilmente: mi sentivo in colpa, sapendo che loro sarebbero rimasti a Calcutta, mentre io sarei tornata alla mia vita di comfort in Italia per dedicarmi alla tesi di laurea.
Mi ha fatto scoprire l’enorme gioia che si prova quando ci si rende utili per gli altri. E poi l’amore e la gratitudine immensi che quelle persone conosciute a Calcutta sono riuscite a trasmettermi in brevissimo tempo. Un volontariato come questo non può lasciarti indifferente: genera, anzi, ulteriore motivazione ad aiutare il prossimo. Nel mio caso, l’anno successivo sono diventata volontaria del gruppo di Emergency di Padova.
Io direi a chiunque semplicemente di buttarsi a capofitto in un’esperienza del genere, senza timore di non essere all’altezza o di non avere abbastanza tempo: anche quel poco, per qualcuno, può significare molto.
Serietà del lavoro, coinvolgimento attivo dei volontari, creazione di momenti di condivisione, incontro e comunicazione delle attività: sono questi i punti chiave nella gestione efficace di una realtà come Città della Speranza, come ci racconta il Presidente Marino Finozzi.
Conobbi Città della Speranza oltre vent’anni fa, quando incontrai Franco Masello, il fondatore. Io e mia moglie decidemmo subito di dare una mano alla Fondazione e ne diventai poi socio, apprezzandone l’intento nobile, già all’epoca votato alla ricerca in campo oncoematologico. L’anno seguente la mia famiglia fu toccata da vicino da una tragedia: al mio figlio minore venne diagnosticato un tumore cerebrale. Sapere di avere una realtà come Città della Speranza accanto a noi significava vedere la luce in fondo al tunnel. Questa storia ebbe purtroppo un epilogo triste, ma spinse me e mia moglie a dedicarci in misura ancora maggiore alla Fondazione.
L’apporto dei volontari è fondamentale per il perseguimento degli obiettivi di Città della Speranza: riteniamo sia necessario coinvolgerli attivamente, per esempio, chiedendo direttamente a loro di che cosa necessitino, a livello di strumenti e iniziative, per poter lavorare al meglio.
I gemellaggi sono sicuramente uno strumento fondamentale per far conoscere l’operato dell’organizzazione e l’attività dei volontari sul territorio: qualsiasi comune, piccolo o grande che sia, può decidere di partecipare, collaborando con la nostra realtà in diverse modalità. Città della Speranza può per esempio valutare l’impatto effettivo di iniziative sociali attivate nel comune, partecipare a eventi organizzati sul territorio, raccontando la propria attività e molto altro.
Ce n’è uno molto importante, già avviato, che ci siamo prefissati di concludere e attivare per la fine del 2026: l’inaugurazione di una seconda torre, che affiancherà la Torre della Ricerca di Padova, attiva dal 2012 nello studio delle malattie pediatriche e finanziata praticamente solo grazie all’impegno dei volontari. Con la nuova costruzione vogliamo compiere un ulteriore passo avanti: trasformare l’attività di ricerca in soluzioni effettive alle malattie pediatriche. La nuova torre ospiterà infatti laboratori all’avanguardia dedicati allo sviluppo di cellule staminali, che ci auguriamo possano offrire nuove speranze a molti bambini affetti da gravi patologie.
Sicuramente l’obiettivo di rafforzare la notorietà della Città della Speranza richiede un grande effort comunicativo, esteso a tutti gli strumenti di comunicazione, dai canali tradizionali a quelli digitali: è per noi importantissimo far comprendere appieno il valore del lavoro svolto dai tantissimi volontari che ci supportano ogni giorno. Un’ulteriore sfida è la gestione della spesa in modo efficiente: come dichiarato nel nostro Bilancio Sociale, nel 2024 abbiamo raccolto circa 12 milioni di euro. Gran parte dei fondi continua a essere destinata al perseguimento delle finalità istituzionali: i progetti di ricerca e, attualmente, la realizzazione della nuova torre. Solo una piccola parte, circa il 3 o 4% dei fondi raccolti, sostiene le spese minime di governance, necessarie a far funzionare una struttura che coinvolge tantissime risorse: ricordiamo che le persone impiegate nella Fondazione opera su base volontaria, nessuno percepisce uno stipendio per l’impegno e il lavoro svolto.
Consiglio di valutare bene le proprie attitudini, perché si può aiutare in tanti modi: ci sono ruoli fisici e di assistenza, ma anche ruoli gestionali e di coordinamento. È fondamentale, dunque, capire prima di tutto che cosa ci piace fare, perché il volontariato richiede passione e tempo, anche se l’aiuto offerto può riguardare solamente alcuni momenti o attività sporadiche nel corso dell’anno: per realtà come Città della Speranza, anche solo la disponibilità ad aiutare in periodi come Natale e Pasqua con i pacchetti regalo e la distribuzione di colombe e panettoni finalizzati alla raccolta di fondi vuol dire tanto.
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